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PEPPINO DE FILIPPO

1903-8

Peppino nasce a Napoli il 24 Agosto,figlio naturale del commediografo Eduardo Scarpetta e di Luisa De Filippo.Dalla stessa unione nel 1898 era nata Titina e nel 1900 Eduardo. I nomi di Consiglia e Giorgio verranno attribuiti in seguito alla coppia di paesani ingenui e sprovveduti presenti fra i personaggi di “Chi è cchiù felice ‘e me!”di Eduardo (1929).


1909-13

Dall’infanzia nei campi,una volta tornato a Napoli, Peppino si trova immesso-quasi senza soluzione di continuità- nella vita teatrale della sua famiglia,nella quale erano stati già coinvolti Titina ed Eduardo:debutta,nella parte di uno scolaro,al Valle di Roma,con la Compagnia di Eduardo Scarpetta in Nu ministro mmiezz’’e guaie ,adattamento di Sua Eccellenza al paese natio,di Vincenzo Di Napoli Vita,a sua volta tratto da una commedia di Eraldo Baretti.
Seguiranno altri ruoli infantili,come quello di Peppiniello in Miseria e nobiltà,personaggio che Scarpetta aveva creato per il suo legittimo erede Vincenzo,e con il quale aveva “iniziato”al palcoscenico tutti i suoi figli.
In questo periodo,colto da “panico da palcoscenico”,Scarpetta abbandona prematuramente le scene.
Il figlio Vincenzo subentra al padre nel personaggio e nel repertorio di Felice Sciosciammocca,nei confronti del quale Peppino denuncerà sempre una certa antipatia: <<Né mi era simpatico quel personaggio che aveva contribuito alla popolarità,nella Napoli del primo ‘900,di Eduardo Scarpetta.Parlo di quel felice Sciosciammocca che Scarpetta con grande successo inseriva in tutte le sue riduzioni del teatro francese.Don Felice parlava napoletano,ma sotto sotto era ancora parigino>>. Ancora verso la fine della sua carriera artistica,a chi gli domanda un giudizio sulla scena contemporanea,fa notare come: <<Le riduzioni di Scarpetta sono divertenti quanto volete,ma niente di più,finendo con l’essere la droga del teatro napoletano.Ai tempi di Raffaele Viviani, ma anche prima,si è lottato molto contro questo repertorio>> (Lello Greco,Peppino De Filippo invitato al festival mondiale del Teatro in “Il Corriere Di Napoli” 15 Aprile 1972 in ACS, aPdf,B.33). Intanto, nell’’II , senza grande solerizia, Eduardo e Peppino frequentano l’istituto Chierchia.La fama raggiunta in seguito avrebbe ‘condonato’ le frequenti diserzioni scolastiche: “Carissimi fratelli De Filippo,mentre il vostro nome risuona per ogni angolo di Napoli per il vostro eccezionale valore nell’arte scenica di cui siete campiono autentici,desta in me,il vostro caro e affezionato professore dell’istituto di Chierchia, il desiderio di ascoltarvi e abbracciarvi,orgoglioso dei miei giovinetti di un tempo che fu…”(il professore Ernesto Longobardi a Eduardo e Peppino,12 dicembre 1933,in ACS,Apdf, b.21)


1914-19

Come i fratelli, Peppino partecipa agli spettacoli della compagnia di Vincenzo Scarpetta al Mercadante ,al Fiorentini e anche al Trianon di Napoli e quindi-quando, a partire dal ’18,si trasferisce nella capitale con i fratelli e la madre- al Manzoni di Roma e in altre città.La collaborazione con Vincenzo continua saltuariamente per diversi anni,ma,al di là di qualche locandina che reca anche il suo nome,non è facile documentare in modo sistematico l’attività teatrale di Peppino,anche perché la sua giovane età non gli consente di andare oltre il ruolo “generico”, e i ricordi sono spesso carenti e,a volte,contradditori: “Per tutto il tempo che rimasi nella compagnia di Scarpetta (prima Eduardo,e poi il figlio Vincenzo), non ebbi modo di farmi notare molto. L’importante era percepire la paga seppure modesta,che mi dava la possibilità,se non addirittura di vivere,almeno di vivacchiare” . Il repertorio è quello scarpettiano,che Vincenzo incrementa ora con i suoi testi,apportando qualche modifica al personaggio di Sciosciammocca.
 
1920-24

L’apprendistato di Peppino attraversa i diversi generi di teatro napoletano:trova scritture nella Compagnia di prosa Molinari al teatro Nuovo di Napoli,poi nella Compagnia di Francesco Corbinci al teatro Partenope.Nella Compagnia di riviste di Francesco Amodio recita in Tutto color rosa!Fra una scrittura e l’altra si arruola,secondo quanto si racconta,come “premilitare” e presta servizio alla Scuola allievi sottufficiali nel corpo dei Bersaglieri.Della sua esperienza con il celebre macchiettista Peppino Villani-che risale al ’22 e presso il quale era scritturato anche Eduardo-Peppino ricorda una conclusione disastrosa. A quei tempi ogni attore doveva disporre in proprio dei costumi di scena,che rappresentavano un cospicuo investimento: <<Per “corredo” s’intendeva:smoking,frac,cilindro,bombetta,camicie di finissima seta ,scarpini di coppale,bastoni col pomo d’avorio, e tutto il resto. Avevo soltanto un abito liso di tre anni prima e un paio di scarpe che erano ancora quelle del servizio premilitare>>. Una sera l’esecuzione del Moulin Rouge rende però necessari gli abiti di gala;Peppino riesce a rimediare tutto tranne le scarpe e pensa di poter nascondere i piedi dietro diversi arredi di scena: “Ma la sera della prima (eravamo a Palermo) alcuni compagni di scena,per farmi uno scherzo,spostarono immediatamente un tavolo dietro al quale m’ero andato a nascondere,nella parte di un cliente del ‘Moulin rouge‘.Calato il sipario Peppino Villani m’inseguì per tutti i corridoi del palcoscenico, urlando ‘ è inaudito ,presentarsi in scena senza scarpe!’Ma potevo mettere sotto il frac gli scarponi del Regio Esercito?”


1925-26

 Il 25’ costituisce un anno importante nella biografia di Peppino:a giugno scrive la sua prima opera,Te lo raccomando,una commedia in tre atti;incontra un maestro elettivo in Salvatore De Muto-l’ultimo grande pulcinella napoletano mentre a novembre muore suo padre:Napoli è in lutto e i funerali sono regali.Con la compagnia di De Muto ,Peppino al teatro di Resina in II suicidio di Pulcinella: “Quando nel 1925 ebbi l’onore di conoscerlo di persona (De Muto) aveva da poco tempo ripreso a lavorare in teatro a causa di una noiosa malattia:ristabilitosi formò subito una Compagnia per il repertorio pulcinellesco intitolata “Rievocazione della commedia Sancarliniana” ’accostamento a un grande attore come Salvatore De Muto fu per me “sangue pane”per le mie tendenze artistiche.De Muto fu una maschera pulcinellesca di grandissima risonanza nel mondo del nostro teatro.Ma dopo aver fatto ridere e divertire almeno tre generazioni morì povero,abbandonato da tutti,solo,stanco e triste,deluso e avvilito. Negli anni che gli fui vicino,da giovane,appresi molto dell’arte spontanea e improvvisata di De Muto studiandolo e imitandolo nelle impostazione di ogni mio personaggio a carattere farsesco Spostando la sua formazione più autentica nell’area della tradizione pulcinellesca, Peppino sembra volersi sottrarre all’ombra di Felice Sciosciammocca,quasi a sottolineare provocatoriamente dichiarando la sua affinità a un teatro precedente alla “riforma”paterna una sua scarsa integrabilità anche artistica all’interno di quella “famigli difficile”,di cui avrebbe scritto le memorie. A questo periodo risale il suo ingaggio nella Compagnia di Achille Con salvi,Nicola Urciolo,Raffaele De Crescenzo,con la quale Peppino condivide la vita degli “scavalcamontagne”,adattandosi a tutti mestieri,con repertori che vanno I due segreti a vita e  passione di Cristo.Al 26’ dovrebbe ascriversi anche la sua parodia Il pranzo delle beffe ,il cui copione è andato smarrito.


1927-29

Conclusa l’esperienza con la Compagnia Urciolo-De Crescenzo, Peppino  racconta di avere lavorato al teatro Tosca di Napoli,in spettacoli di varietà e di avere cantato,tra le altre macchiette ,Flippò,Flippò,di Gigi Pisano. Si riscontra la sua presenza ancora nella compagnia di Salvatore De Muto e in numeri di avanspettacolo al cinema-teatro Appio di Roma.. Il 25 Settembre 1926 viene scritturato come generico da Raffaele Di Napoli,nella Compagnia di Napoli e C., fino al I Marzo 1927 ,e stipula un contratto come generico nella compagnia in lingua di Luigi Carini,dove Eduardo era scritturato come brillante:  <<Fortuna che Luigi Carini costituiva una nuova compagnia dove fui scritturato per un anno,dal ’27 al ’28 nella qualità di “generico”con la paga di 25 lire giornaliere. Da quel recitare “in lingua” passai con Eduardo e Titina al teatro Nuovo di Napoli>>. In realtà però,mentre Eduardo è con Carini,Peppino lo sostituisce presso Vincenzo Scarpetta: <<Sostituendo Eduardo in Compagnia Scarpetta avrei avuto modo,fosse stato anche per poco,di emergere in una formazione artistica di primo rango e acquistare un certo prestigio personale nell’ambiente teatrale napoletano,nel caso che Scarpetta,riprendendo Eduardo nella compagnia,non avesse ritenuto utile di tenermi ancora scritturato>>. Presso Scarpetta,quando Eduardo conclude la sua esperienza con Carini,rimangono poi entrambi: <<E fu proprio in quei tempi che cominciammo a scrivere assieme.Volevamo inventare un teatro tutto nostro,un teatro di pause e situazioni,che s’allontanasse per quanto più possibile dalla formula della “pochade”francese>>. Nel 27 Peppino scrive una farsa campestre in due parti Tutti Uniti canteremo (che prenderà in seguito il titolo Un ragazzo di campagna)e, probabilmente in questo stesso anno,Trampoli….e cilindri!La prima farsa si rivela un titolo “persistente” e accompagnerà il repertorio fino alla fine dell’attività di Peppino,che ancora nel ’78 ne propone una nuova edizione televisiva.La tipologia del protagonista,un personaggio timido,generoso e inverosimilmente impacciato,corrisponde a una delle anime che abitano la recitazione di Peppino: <<Mi piaceva quel tipo di ingenuo sposo ,così credulone,che cade poi in una situazione penosa da perdere la sposa proprio la sera delle nozze ,perché è un ragazzo che si è fidato del sentimento fraterno>>. Peppino De Filippo attore “disimpegnato”,in <<Rivista del Cinematografo>> giugno 1965. Con Eduardo ,alla sua prima esperienza di capocomico,interpreta nell’estate del 27’ la rivista…che non piacerà di Michele Galdieri al Fiorentini di Napoli,riscotendo grande successo.Il sodalizio artistico tra i fratelli comincia a qualificarsi come un’entità ben definita,e non solo attraverso esperienze teatrali:il 10 Ottobre  ’29 Peppino sposa l’attrice Adele Carloni ,sorella di Pietro ,marito di Titina e a sua volta attore della futura compagnia De Filippo.  L’anno successivo nasce il figlio Luigi .Durante l’estate,i tre fratelli insieme avevamo messo in scena la rivista Prova generale da loro scritta sotto gli pseudonimi R.Maffei ,G.Renzi, H.Betti,con prologo e epilogo di Michele Galdieri. Durante l’estate ,fra le diverse scritture ,con la Compagnia di Vincenzo Scarpetta Eduardo e Peppino,in diverse occasioni,reciteranno a San Rossore per i Savoia,secondo una tradizione che proseguirà poi anche durante gli anni del<<Teatro Umoristico I De Filippo>>con il Principe e quindi con Reali: << A proposito del Principe di Piemonte ,che era un frequentatore affezionato del nostro teatro,quando all’aprirsi del sipario ne scorgevano la figura nel suo palco,tiravamo un sospiro di sollievo.Quando non c’era,infatti,significava il più delle volte che ,nel cuore della notte ci aspettava a palazzo ,per offrire a questo o a quell’altro gruppo di amici,in tutta intimità,una recita dei De Filippo .Il suo aiutante di campo veniva a chiamarci ,qualche volte alle tre del mattino,e noi dovevamo rivestirci,racimolare quel po’ di materiale scenico indispensabile e avviarci verso Palazzo Reale. Gli inviti dei Reali nel teatrino di corte di Villa Savoia a Roma invece durante il periodo del Teatro Umoristico sono stati essenzialmente due (Peppino De Filippo svela inediti fatti del tempo in cui recitava con Eduardo, in << La Voce di Napoli>>. A questo periodo data anche una serie di poesie in dialetto che Peppino pubblicherà poi presso le edizioni Curcio nel 1952.


1930-32

Titina chiama i fratelli al teatro nuovo di Napoli ,dove era ingaggiata,in sostituzione di Totò che aveva improvvisamente abbandonato la Compagnia Moilinari per altre scritture :i fratelli debuttano il 26 Maggio 1930 con la formazione “Ribalta gaia”a cui partecipa anche Agostino Salvietti nella rivista pulcinella principe in sogno,che accoglie al suo interno l’atto unico Sik-Sik,l’artefice magico,e che si risolve in un successo strepitoso. “Venco io”,la battuta con cui Peppino e Salvietti si propongono al compare,fa il giro di tutta Napoli e Sik Sik diviene l’icona della nuova “generazione dialettale”,come la stampa definisce i De Filippo.La Compagnia recita al Teatro Olympia e al Teatro Nuovo di Napoli,poi a Montecatini ,a Palermo dove il successo è più tiepidone a  Roma in agosto,nella Rivista Colori di Moda. Dopo lo scioglimento di “Ribalta gaia”,i De Filippo tornano nella Compagnia Molinari e prendono parte a varie riviste.Nei mesi successivi i tre fratelli danno vita a diverse formazioni fra cui il “Teatro Umoristico di Eduardo De Filippo con Titina e Peppino,che il 4 e il 9 Aprile 1931 presenta al teatro Nuovo Don Rafaele ‘o trombone,Tutti uniti canteremo ,Miseria bella di Peppino e Farmacia di turno di Eduardo. Peppino si dedica ora soprattutto agli atti unici,più modulabili all’interno delle riviste o nell’avanspettacolo dell’atto unico come forma compositiva “folgorante”farà anche in seguito appassionate difese.Fra gli altri, scrive ora Armando paga! Sto bene con l’elmo (titolo che compare affiancato ad altri,come ad esempio Una persona fidatissima.Sono brevi farse con supponenze inesorabilmente punite e situazioni rapidamente ribaltate :il dialetto è realistico, “parlato”,vero: “Nel frattempo la nostra preoccupazione era quella di scrivere. Quando sarebbe venuto il momento,avremmo dovuto sentirci già pronti.Con un repertorio nostro,per non incorrere nei lavori di Murolo,di Bovio di Scarpetta,non certamente da scartare,ma assai lontani dalla nostra concezione di recitare e di immaginare la vita” Dopo un ritorno alla rivista , e un’ estate che li vede in vari teatri napoletani e a Montecatini,i tre fratelli firmano un contratto con il cinema-teatro Kursaal: a dicembre costituiscono il “Teatro Umoristico I De Filippo” e il giorno di Natale mettono in scena Natale in casa Cupiello,di Eduardo. E’ un atto unico (l’attuale secondo atto) e il trionfo strepitoso prolunga la stagione della compagnia oltre il previsto:Peppino nella parte di Tommasino,figlio di Luca Cupiello ,riottoso maniacale,con il suo tormentone su un presepe che non riesce ad amare ,risulta irresistibile e consolida la fama delle sue qualità comiche,accanto alla fragilità insistita e pauseggiata di un Eduardo ,che si presenta sulle scene come un “vecchio”padre trentenne. In ossequio alle necessità di un repertorio che deve cambiare ogni sera Peppino continua a produrre una grande quantità di atti unici,che prendono subito la via della scena,Uno, due…tre :oplà!Cinque minuti dopo,Quale onore!,Una persona fidata,Caccia grossa!Aria paesana,Spacca il centesimo ,Cupido scherza…e spazza ,Quel tale non so che e In bocca al lupo(le ultime due mai pubblicate),usando lo pseudonimo di Bertucci (al quale tornerà anche molti anni dopo: “Bertucci lo pseudonimo di quanto ho cominciato a scrivere per il teatro umoristico… Anche se Bertucci è legato a pochi lavori,non lo rinnego,come nessun altra cosa di quel periodo” Massimo Bontempelli in una calorosa recensione su “Il Mattino” del 6 Giugno 1932 auspica una tournèe della giovane compagnia nell’Italia del nord.Nel frattempo.durante l’estate,comincia anche l’attività cinematografica dei De Filippo con Tre uomini in  frack, regia di Mario Bonnard (ed.1933):per ora sono slo Eduardo e Peppino a presentarsi sullo schermo,Titina si aggiungerà qualche anno dopo in Sono stato io!(1937),versione cinematografica di un successo teatrale della compagnia,Sarà stato Giovannino!,di Paola Riccona. In autunno i fratelli con il teatro Sannazaro un contratto nel quale Peppino figura come amministratore,Eduardo come direttore artistico mentre Titina è regolarmente scritturata. Abbandonati da Salvietti ,debuttano con la commedia di Eduardo Chi è cchiù felice ‘e me!e con l’atto unico di Peppino Amori e balestre! Peppino inoltre riporta un successo memorabile nei panni del cocchiere furfante fannullone nella commedia di Gina Rocca,Sior Tita paron,che Eduardo adatta in napoletano. Per la nuova stagione scrive Cicalata del tempo e del luogo,un atto parodistico e musicale , a Coperchia è caduta una stella e,in collaborazione on Titina,Quaranta …ma non li dimostra,in due parti.


1933-34

E’ la stagione decisiva per la compagnia, e ne segna la definitiva affermazione a livello nazionale, mentre le scelte linguistiche del Regime, tendono a scoraggiare le manifestazioni dialettali; a maggio del ‘33 è in Puglia, alla fine di agosto conquista il nord, partendo da San Remo, e proseguendo per Torino, Genova, Bologna e infine Roma. Nella primavera dell’anno successivo è a Milano. Intanto, a partire dalla primavera del ’33, i De Filippo stringono i rapporti con Pirandello e Peppino in particolare affronta la riduzione in napoletano di Liolà, trasponendo la vicenda nella marina amalfitana: si dispone così ad interpretare un personaggio solare scanzonato, protagonista assoluto della scena e ad affrontare la sua prima riduzione di un autore importante. La prova non solo è impegnativa, ma sposta sensibilmente il tono del repertorio sbilanciandolo dalla parte di autori estremi alla formazione e Peppino non è completamente convinto: Liolà finirà con l’andare in scena solo nel ’35 e rivelerà altre corde nella sua recitazione. Un successo “comico” personale Peppino lo riporta intanto in una commedia di Lucio d’Ambra, Il granatiere di Pomerania, dove, in un ambiente alto-borghese e in un clima da pochade, interpreta un personaggio buono e generosa vessato dall’amico Napoleone, affidato a Eduardo. Di genere boulevardier, la commedia non viene ripresa nella stagione successiva e l’autore si lamenta con peppino perché la Compagnia non ha inserito nessun suo lavoro nel repertorio dell’anno.A ottobre del ’33, dedicando ai tre De Filippo una conversazione radiofonica, d’Ambra aveva contribuito a ratificare ulteriormente il successo del trio: tre attori di questa qualità si propongono come un fenomeno straordinario, il loro gioco scenico è clamoroso e sovverte ogni gerarchia di ruoli. Per chi non li ha visti è difficile intenderne la portata la portata, ma il pubblico vivrà la loro separazione , chiedendo di ricomporre quel “corpo a tre teste” che è andato distrutto. Molti registi cinematografici tenteranno, a varie riprese, di ideare “il” film che avrebbe riunito i De Filippo e persino Carmelo Bene racconterà di aver tentato l’impresa di Don Chisciotte dove Peppino avrebbe dovuto affiancare Eduardo nel ruolo di Rancho Panza. Nonostante il momento così impegnativo, o forse proprio per questo, Peppino torna a scrivere testi in tre atti , Notte di bronzo 8 di cui non esiste più il copione), La casa senza specchio ( messa in scena col titolo Lorenzo e Lucia, poi pubblicata come I brutti amano di più) La lettera di mammà ( in collaborazione con Maria Scarpetta) in due parti, a vari atti unici, il ramoscello d’olivo, Mezza parola( il copione reca scritto “ l’ho data nel 1934”), Al vero Maraniello ( una variante mai rappresentata del procedente Trampoli…e cilindri!). Tornano come protagonisti ragazzi poco intelligenti e vessati, giovani uomini angariati dagli amici, perdenti nella vita ma vittoriosi nel gioco scenico. Nel ‘ 34 è documentata la prima segnalazione dell’attore, che recita col fratello al Valle di Roma, nelle carte della Polizia politica: “ Roma 19 novembre 1934" L’attore napoletano Peppino De Filippo, attualmente al Valle, con il fratello Eduardo: “ io immagino Chiacchiello ( il re) quando si mette la feluca! Dirà certamente, con comica rabbia:  Tu vide ‘ o padreterno che me fa passà cu chillo pazzo, ma adda fernì, adda fernì. Meno benevola è la censura nei confronti del Cappello e tre punte, interpretato da lui e da Eduardo per la regia di Mario Camerini dove vengono tagliate alcune scene di sommosse popolari: è il primo film in cui Eduardo e Peppino interpretano personaggi che non devono far ridere e la cattiva sorte del film , che esce manomesso nel ’35, disturba particolarmente i due fratelli.

1935-36

Peppino e Eduardo recitano in alcuni monologhi radiofonici nel mese di febbraio, mentre ripropongono, in diverse città commedie loro e di altri autori. A Maggio del ’35, al teatro Odeon di Milano, rappresentano la versione napoletana, adattata da Peppinho , di Liolà di Luigi Pirandello, che assiste a buona parte delle prove, mentre in autunno Eduardo comincia col drammaturgo siciliano la stesura de l’abito nuovo, alla quale sono presenti anche i fratelli, e chiede di poter adottare il berretto a sonagli. Siamo in piena stagione Pirandelliana del teatro Umoristico: ai titoli suddetti Peppino aggiunge LI’Uva rosa , da Lumie di Sicilia- rappresentato per la prima volta al teatro Fiorentini di Napoli l’11 febbraio del ’36, qualche giorno dopo Il berretto a sonagli – in una serata d’onore durante la quale recita anche sue composizioni poetiche. I fratelli vengono scritturati inoltre per recitare Questa Sera. Si recita a soggetto, di Pirandello, con la regia di Giorgio Salvini, a Vienna, nell’ambito di un congresso internazionale di teatro. Cominciamo anche però una serie di dissapori interni sulla composizione del repertorio che Peppino vorrebbe meno aperto agli autori in lingua. Nell’ottobre del ‘ 35 era stata nache rappresentata al teatro Politeama di Napoli una commedia scritta insieme da Titina e Peppino, Ma c’è papà, che affronta il tema dei rapporti familiari, mentre, con un certo ritardo esce il film Quei due, regia di Gennaro Righelli, che riprende il repertorio “ classico” del Teatro Umoristico, Sik-Sik, l’artefice magico di Eduardo , Miseria bella di Peppino, qualche sketc dell’Ultimo Bottone di Eduardo, scritta nel ’35. Storie di giovani e vecchi l’uno contro l’altro armati in nome di rapporti sociali più onesti e corretti: si profila una seconda maniera del Teatro Umoristico; dato l’ambiente sociale, la lingua – in particolar modo nel testo di Peppino- si avvicina sempre di più all’italiano. La Compagnia partecipa in questi anni a varie iniziative benefiche; tra l’altro organizza uno spettacolo per i soldati in partenza per l’ Africa orientale e, come tradizione vuole, serate a favore delle colonie anche permesso di recitare alcuni suoi testi alle filodrammatiche giovanili. Nel ’37 alla radio Peppino e Eduardo scrivono e interpretano lo sketch Primo amore.
 
1937-39

Nell’autunno del ’36 era morta Petrolini, e quindi a dicembre muore anche Pirandello, poco dopo l’inizio delle prove dell’Abito nuovo. La commedia va in scena nell’aprile dell’anno successivo al teatro Manzoni di Milano e viene riproposta poi a Roma. Peppino scrive per il repertorio umoristico il terzo episodio delle comiche avventure dedicate alla famosa coppia zio e nipote dell’Ultimo Bottone, di Eduardo, Che bella serata! Ma scrive anche un atto unico particolarmente feroce, Il compagno di lavoro! che compare in una serata che il Teatro Umoristico dedica alla memoria di Petrolini, insieme ad altri classici del repertorio dell’attore romano , Il coraggio di Novelli e Il Cortile di Martni. Questo è un delicato periodo di passaggio : l’esperienza pirandelliana incide fortemente sul percorso della compagnia; A Roma, a gennaio del ’38, Uno coi capelli bianchi, di Eduardo e Un povero ragazzo! Di Peppino allertano la critica che legge nella nuova produzione una svolta in senso drammatico, e comunque una qualità diversa della drammaturgia e degli interpreti: Ricorda in proposito Vincenzo Malarico: "Rammento il protagonista di una sua commedia, un “povero ragazzo” , un giovanotto deluso e mortificato dibattendosi nel labirinto della vita: con che irresistibili accenti, con che struggenti toni rendeva Peppino la meschina odissea del suo personaggio, in un’atmosfera di crepuscolare perplessità, intrisa di riso e lacrime, scherzi e tristezza, ironia e delore” Un Povero ragazzo!, che verrà riproposto poi a Milano la stagione successiva, sarà il primo testo di Peppino a essere pubblicato in “Il Dramma” In precedenza, nel ’38, “ scenario” aveva pubblicato a sua volta Uno coi capelli bianchi, di Eduardo, tradotto in lingua Italiana. Consonante con questa ricerca di un tipo e di un carattere più complesso del “mamo”, del ragazzo riottoso o del giovane ottuso che aveva contraddistinto le interpretazioni di Peppino, è la prima versione, che risale a questo periodo, del Gorge Dandin molieriano, che però non arriva alle scene del Teatro Umoristico.
Ma questo periodo è decisivo non solo in senso artistico: entra ora, nel ’38, in compagnia Lidia Maresca. Recensendo lo spettacolo dei De Filippo a Bari, A coperchia è caduta una stella, il cronista segnala:
“ L’attrattiva maggiore fu costituita da Lidia Maresca, la gentile attrice del Varietà, che è passata al teatro di Prosa,… ebbene possiamo dire che Lidia Maresca ha passato il Rubicone con pieno successo”. Anche la carriera cinematografica in questi anni ha sviluppi imprevisti:nel ’37 sullo schermo, come si è detto, debutto anche Titina in Sono stato Io! , tratto dalla commedia di Paola Riccona e diretto da Raffaello Matarazzo mentre , nello stesso anno, cominciamo le riprese in L’amor mio non muore, con la regia di Giuseppe Amato che vede per la prima volta Peppino in qualità di sceneggiatore. Ma soprattutto Eduardo e Peppino fondano la casa di produzione cinematografica Delfim, destinata a fallire: il primo-ed unico-film, di cui è regista Eduardo, In Campagna è caduta una stella. Questo intenso periodo si conclude con l’allontanamento di Titina che , in seguito a una serie di dissapori, lascia la campagna del Teatro Umoristico per entrare, insieme al marito Pietro Carloni, in quella di rivista condotta da Nino Taranto. Alla compagnia viene conferita la medaglia d’oro della Croce Rossa Italiana per avere offerto uno spettacolo a favore dell’istituto Cesare Battisti.


1940-41

A sanare il dibattito fra teatro italiano contemporaneo e teatro di tradizione si profila la collaborazione con Armando Curcio, che produce successi clamorosi, e consente a Peppino interpretazioni memorabili in cui esaltare corde divergenti e compresenti della sua recitazione: l’ingenuo Vincenzino di A che servono questi quattrini?, e il gaglioffo Gaetano Esposito de I Casi sono due . Peppino si conferma sempre più erede raffinato di una grande tradizione della maschera. E alla tradizione rende ulteriormente omaggio con il suo adattamento del ’39 di Una donna romantica e un medico omeopatico, di Riccardo di Castelvecchio, che apparteneva già al repertorio paterno. L’allontanamento di Titina sembra inaugurare una maggiore autonomia dei fratelli rispetto alle attività della compagnia: Peppino comincia nel ’40 a partecipare a film senza i fratelli (Notte di Fortuna, L’ultimo combattimento) e a quest’anno risale inoltre la sua prima collaborazione come disegnatore per una rivista, “Mammina”. Questo è anche però l’anno di una nuova affermazione di Eduardo come autore con Non ti Pago, e di una grande prestazione comune dei due fratelli. Peppino rinnova inoltre i successi conosciuti in precedenza con il granatiere di Pomeriana, che viene riproposta nel ’40, in occasione della scomparsa di d’Ambra. Le recensioni plaudono alla sua interpretazione “surreale” contro la banalità della commedia. E’ ora un attore più grande delle parti che recita. Al Quirino di Roma va in scena una sua novità, Il grande attore!, atto unico che aveva scritto nel’39 come sviluppo di una novella sulle problematiche della fame e dei suoi fastidi- Ribalta spenta, pubblicata nello stesso anno- ma il suo lavoro più importante è l’adattamento di una bella commedia di Darthès e Damel,…di Pasquale del Prado, che affronta la storia a lieto fine di tre bambini illegittimi che riescono a trovare una famiglia regolare, grazie al personaggio solido e positivo interpretato da Peppino. Nel ’41 intanto il “Dramma” comincia a pubblicare la maggior parte  degli atti unici “prima maniera” di Peppino, rigorosamente tradotti in italiano.


1942-43

Mentre Titina torna nella compagnia, e recita insieme ai fratelli a Genova in La Fortuna con l’effe maiuscola di Eduardo e Armando Curcio, Peppino scrive e rappresenta una delle sue commedie di maggior successo, Non è vero…ma ci credo! il cui titolo originale è Gobba a ponente. Il ’43 invece vede l’insuccesso del Diluvio di Ugo Betti, ridotto in Napoletano da Eduardo, la cui messa in scena era annunciata già da molto tempo e favorita dalla Direzione Generale dello Spettacolo: per la sua realizzazione la compagnia aveva ricevuto per la prima volta un contributo ministeriale. Il Teatro Umoristico torna alla rivesta, realizzando Tombola al teatro Quattro Fontane di Roma.
Eduardo e Peppino intensificano l’attività cinematografica: A che servono questi quattrini? , di Esodo Fratelli; Non ti pago!, di Carlo Ludovico Bragaglia; Casanova farebbe cosi!, dello stesso Bragaglia, tratto da una commedia scritta da Peppino insieme a Curcio; Non mi muovo!, con la regia di Giorgio C. Simonelli; Ti conosco, mascherina !, con la regia di Eduardo. Senza il fratello, insieme ad Aldo Fabrizi e ad Anna Magnani, Peppino interpreta Campo de’ Fiori, con la regia di Mario Bonnard.


1944

“ Nell’aprile del 1944 mi capitò un giorno di parlare con mio fratello delle tristi conseguenze del prolungarsi della guerra( da circa due anni i continui bombardamenti non ci consentivano di lavorare e le nostre economie si andavano sempre più assottigliando. Eduardo mi esortò a non abbattermi : “Vedrai; Peppino appena la guerra sarà finita potremo lavorare meglio di prima e soprattutto con maggior libertà di idee”. La guerra, per noi, era già praticamente finita appena un paio di mesi dopo, con la occupazione di Roma da parte delle truppe Anglo-Americane. Ma con questa arrivarono le requisizioni dei teatri e noi rimanemmo a guardarli, mentre le nostre economie, frutto di parecchi anni di lavoro confortato da un successo addirittura internazionale, più che assottigliarsi, andavano ormai decisamente scomparendo”
Anche nelle rare occasioni comuni che ancora si presenteranno- un set cinematografico, una manifestazione culturale- il miracolo della ricomposizione non avviene. La necessità artistica che li teneva insieme era superata e conclusa: ora ognuno doveva cercare la sua strada.

1945

Insieme al Teatro Umoristico è finita un’epoca: non solo è “ scoppiata la pace”, ma è scoppiata una società dello spettacolo che aveva vissuto fino ad allora in regime di autarchia, le frontiere si sono aperte e la nuova generazione di autori deve contendere le scene a quel teatro europeo che ne era rimasto escluso, Brecht innanzitutto.
Problematica appare anche la questione della lingua e ora l’autenticità dei dialetti, contro l’artificialità di un italiano “imposto” dalla politica cultural fascista, sembra rispondere meglio alle istanze della stagione neorealistica che vivono molti intellettuali italiani. Non è più possibile però ritornare alla situazione del teatro dialettale “prima” del regime e ignorare quindici anni di nazionalizzazione della lingua parlata attuata anche attraverso il cinema e la radio, quanto piuttosto elaborare direzioni di ricerca che tengono conto della nuova realtà del Paese.
Il progetto teatrale capace di contenere e valorizzare le qualità specifiche di Peppino esita a prendere forma autonoma: intanto c’è la Rivista, subito pronta ad assorbirle e l’attore viene scritturato da Paone nella formazione “romana” di Imputati alziamoci, di Michele Gaidieri, mentre la formazione di giro prevede la partecipazione di Totò. Eduardo invece, che all’inizio del 1945 dà vita alla compagnia “ il teatro di Eduardo con Titina De Filippo”, senza più poter contare sull’appeal performativo de fratello, stenta a reperire teatri che accettino il nuovo complesso. E’ il Teatro San Carlo ad ospitare in una matinèe, in via eccezionale, Napoli milionaria! , la prima commedia con cui l’autore inaugura i “ giorni dispari”, dando finalmente voce e respiro alla realtà di quegli anni. Peppino è pronto solo in autunno: "Dopo aver recitato per alcuni mesi in una rivista allestita da Remigio Paone, riuscii finalmente a realizzare quello che era da molto tempo il mio sogno: avere una mia  compagnia di prosa. La formai nell’agosto del 1945 e debuttai a Milano, ottenendo un lusinghiero successo di pubblico, e, per conseguenza, di cassetta”. All’Olimpia di Milano il 24 agosto la Compagnia di prosa diretta da Peppino De Filippo si presenta con I casi sono due, di Armando Curcio. E’ una scelta di continuità, e di “parte”: Peppino opta non tanto per un testo ma per un teatro in cui trasferire tutta intera quella grande tradizione comica italiana - dalla Commedia dell’Arte in poi – che sente di poter decantare all’interno della contemporaneità. L’appuntamento si rivela innanzitutto un “ Appuntamento con un’interpretazione”: “Naso arrubinato delle sbornie e occhi avidi, fronte distrutta da una raffica rugginosa di capelli e tono acerbo, il protagonista peppinesco rivela subito l’indole manigolda e, grattato il ciuffo, prillato lo sguardo, buttato fuori la voce, il cuoco Gennaro è già una definizione. Avvertiamo subito la carogna. Esce da un’esile macchietta un personaggio solidissimo; da un gracile abbozzo, un ribaldo concluso… il cuoco Gennaro è la grande costruzione di una buffoneria asperrima. Una canaglia magnifica. Un fetente sublime…”
Peppino si è messo dalla parte dell’attore/maschera- e della farsa- e il cui Gennaro Esposito, uno dei suoi maggiori successi, diventa l’erede del “cocchiere” del Padrone sono io di Gino Rocca e il padre del futuro Pappagone.
Mentre l’attore è sicuro dei suoi personaggi e cercherà  di assicurare loro un percorso ampio che colleghi insieme tradizione popolare e teatro classico – già in quest’anno presenta alla Censura la sua traduzione del Dandin Di Molière – l’autore risente della complessità del momento e si concede i tempi di cui una riflessione necessita: non a caso ricorre alle collaborazioni, mentre cerca di assicurare alla compagnia gli antichi autori del Teatro Umoristico, Curcio, Maria Scarpetta, Paola Riccona, d’Ambra, Grassi, e soprattutto Pirandello. Fra le novità intanto propone Il Simulatore, tre atti, scritti in collaborazione con Rino Albertarelli.
Adatta anche Biberò, da un testo di Jean de Letraz e lo mette in scena al teatro Valle. Da solo scrive Al Caffè (o al Bar), che però non rappresenta né pubblica.


1946-47

Come in precedenza, Peppino ritrova ora la linea della scrittura a partire dalla “linea del personaggio”. Ma il suo “ragazzo” – ottuso o astruso che sia – ora è maturato: e per necessità biologiche – l’età e il fisico sono diversi – e perché non ha più un attore come Eduardo – padre/suocero/zio o fratello maggiore – cui opporsi. Le parti che nelle sue commedie o farse erano del fratello, ora diventano sue. Peppino deve anche reinventare un tessuto connettivo che sostituisca la partitura “sonora” che i tre fratelli stabilivano in scena, in questa congiuntura propone allora la lingua comica su “base” italiana: «Eduardo rifiutò il cognome, Peppino il dialetto» recita il sottotitolo di un articolo di Radice (s.t., 14 dicembre 1947, in ACS, aPDF,b. 33). Già ne I casi sono due aveva ambientato la farsa a Milano e liberato il suo personaggio dal dialetto napoletano: «Il dì seguente nessuno della “critica” seppe o vuole registrare l’enorme successo della nuova e azzardosa forma di “teatro italiano” moderno, in senso realistico e naturalistico […]. Si capisce che un “teatro” siffatto, come io lo immaginai e poi attuai, oltre all’andamento di qualche vecchio testo, mi costrinse a scriverne di nuovi» (Una famiglia difficile, p. 376).
Su questa linea Peppino riprende a scrivere, e fra il ’46 e il ’47 ha una produzione abbondante anche se aspetta circa due anni prima di andare in scena con novità proprie: non a caso, sempre alla ricerca di una continuità in cui rinnovarsi, ribalta lo schema già collaudato dal suo successo d’autore più clamoroso, Non è vero… ma ci credo! E scrive Il contrario dell’altra ovvero L’ospite gradito! L’anno dopo, scrive la commedia Qual bandito sono io! (1947) e Per me cose se fosse! Non si sottrae intanto a raccontare in chiave grottesca, al teatro Valle di Roma, la storia recente – le giornate dell’occupazione – che diventano Quelle giornate, due parti e quattro quadri scritte in collaborazione con Maria Scaretta; con lei scrive anche Caro nome. Nel ’46 rinnova la collaborazione con Curcio, e insieme scrivono C’era una volta un compagno di scuola.
A capo di una formazione, dove recita insieme alla sua compagna, libero anche dai vincoli matrimoniali. Peppino è confortato dal successo: la compagnia compie una prima tournèe fuori dall’Italia, a Lugano. Estende intanto il repertorio al teatro italiano contemporaneo, o meglio, a quella generazione che stentava ad affermarsi a causa dell’”invasione” – salutare ma penalizzante – degli autori stranieri: Terron, ad esempio, di cui mette in scena Il diamante del profeta (I denti dell’eremita) e Betti, cui chiede I nostri sogni. Propone inoltre L’uomo, la bestia e la virtù di Pirandello e A che servono questi quattrini? di Armando Curcio. In questo senso vanno anche letti i suoi tassativi ordini del giorno: «Mi permetto poi di chiarire ed affermare a chi forse, crede di poter essere poco diligente e volenteroso nel recitare un lavoro che si ritiene e si giudica del genere farsesco, che la “farsa”, se non è recitata con lo stesso impegno che sempre si adotta peri lavori di testo (Sartre, Salcrou, ecc. – e questi nomi circolano incessantemente nella mia Compagnia) non è più un genere di spettacolo, che fra l’altro, ha creato tanti grandi Attori, ma uno scherzo cretino “tipo accademia”, senza alcuna forma d’arte, che danneggia artisticamente e moralmente gli stessi attori che la recitano» (in ACS, a PDF, b. 38).
Mette in scena fra l’altro Il medico e la pazza di Alessandro DE Stefani e Hobbes Cecchini e Accidenti… che tranquillità di Taylor e Newmeyer. Anche al cinema la sua interpretazione riprende una tradizione precedente a Io t’ho incontrata a Napoli, di Pietro Francisi presenta fra gli altri un episodio ripreso da Oje Marì… oje Marì, l’atto unico di Dino Falconi che aveva accompagnato nel ’36 la prima rappresentazione del Teatro Umoristico del Berretto a sonagli, di Pirandello. Con lo stesso regista interpreta anche Natale al campo 119. Ma il cinema, come il teatro, comincia a sembrargli piccola cosa per la sua statura di interprete: «Che vuole – ci dice – io, De Sica e Fabrizi dovevamo inventare la sceneggiatura per conto nostro, giorno per giorno. Io che a teatro non recito mai a soggetto ero costretto a improvvisare di continuo» (Sandro Bolchi, Peppino vuol bene a Molière, in «Il Progresso d’Italia», 18 maggio 1948, in ACS, aPDF b. 42). Intanto anche il suo “teatro vecchio”, in quest’ottica, progressivamente torna ad essere teatro nuovo e la revisione linguistica adatta alla nuova prospettiva quei testi che la pubblicazione negli anni quaranta non aveva già radicalmente mutato rispetto al copione originario.


1948-49

«È tornato Peppino!» annuncia la stampa (Giovanni Calendoli, in «La Repubblica d’Italia», 7 Aprile 1948) all’andata in scena di Quel bandito sono io!, che realizza nel corso dell’anno duecentocinquanta repliche: l’”onestuomo” si sdoppia con il sosia bandito e gaglioffo, ma l’attore, più che riunire i due versanti delle sue interpretazioni, esalta la capacità di passare improvvisamente dall’una all’altra, secondo la tradizione secolare del “doppio” e il pubblico impazzisce per lui. Meno la critica, quella che lo aveva amato al tempo del Teatro Umoristico, e che rimane sconcertata dall’abbandono del dialetto. Ad aprile ’48 una corrispondenza con d’Amico documenta le perplessità del critico  che danno luogo a d una appassionata difesa da parte di Peppino, e costituisce un documento importante per la storia del teatro di quegli anni(cfr. p. 86 sgg. del presente volume). Qualche scetticismo lo incontra anche la ricerca spasmodica della sua “maschera” all’interno della produzione classica: il Dandin di Molière, sogno accarezzato già nel ’38, va in scena a Milano al teatro Gerolamo con il “Circolo dell’Arlecchino” di Manuer Lualdi nel gennaio del ’48. E Peppino pensa già al Bugiardo, di Goldoni: «Per Peppino è difficile alimentare il repertorio con altri lavori, in quanto non riesce quasi mai a trovare in essi una completa rispondenza al suo temperamento […] Peppino ha tutti i mezzi per essere un eccellente interprete molierano […] ed ecco che pensa al Borghese gentiluomo, al Misantropo […]. Anche Goldoni lo attira, studia il Bugiardo» (Peppino vuol bene a Molière, cit.) E pensa anche di rivolgersi a Simoni o a Giannini per la relativa regia. Nel ’49 però, fra Molière e Goldoni, Il piccolo caffè di Tristan Bernard al teatro Quirino di Roma si conferma come uno dei successi più stabili del repertorio. Intanto scrive e mette in scena Il campo del Signore (Quel piccolo campo), dove avidità di “roba” e bigotteria di campagna, già presenti nella commedia di Terron Il diamante del profeta, vengono riproposti e “addomesticati” in altre trame. La commedia registra due mesi di repliche al teatro al teatro Quirino di Roma e Peppino ne ricava anche un trattamento per un film che non si realizza. Ora che l’attività di scrittura è ripresa in pieno, si lamenta con Lucio Ridenti di non trovarne adeguato riscontro sulle pagine del «Dramma». I suoi testi, prima dell’edizione completa, verranno pubblicati d’ora in poi, si «Teatro» e quindi su «Scenario». Scrive anche Gennarino ha fatto il voto, mentre si apre invece la polemica con Curcio sulle attribuzioni delle opere scritte in comune, che verrà risolta l’anno seguente con un accordo per cui C’era una volta un compagno di scuola viene ascritta al solo Peppino.  Gli impegni teatrali sacrificano quelli cinematografici e Peppino “manca” la partecipazione al film di Mario Soldati tratto dalla sua commedia Quel bandito sono io! Mentre partecipa a Biancaneve e i sette ladri, regia di Giacomo Gentiluomo (ed. 1950) e a Vivere a sbafo, regia di Giorgio Ferroni (ed. 1950).


1950-51

È un periodo segnato artisticamente soprattutto dalla partecipazione al film di Lattuada e Fellini, Luci del varietà. Fellini “ritrova” in Peppino , che aveva visto recitare a teatro molti anni prima, un «tipo italiano», che vorrebbe interprete di vari film, più di quelli che saranno poi realmente realizzati insieme. Intanto mondo del cinema e mondo dei guitti – le diverse “società della commedia” – si presentano nella produzione teatrale di Peppino, Pronti? Si gira! e I migliori sono così (Si debutta domani). Scrive ancora Pranziamo insieme! D’amico, che lo segue con affetto pur dissentendo dalle sue scelte, lo allerta sui pericoli del Bugiardo goldoniano, ma ammette che:  «Tutto lo scherzo, strampalatissimo ma estroso, è fondato sulla magnifica vena di Lelio: e sa il cielo, nonché gli spettatori di tutta Italia, se tu sia capace di dar vita scenica a un lestofante di quel tipo lì» (Silvio d’Amico a Peppino De Filippo, Roma, 11 giugno 1951). Un altro classico si profila all’orizzonte: Le corna di Don Friolera, di Ramon del Valle Inclàn, proposto da Anton Giulio Bragaglia: «Intanto erano nati i cosiddetti “grandi spettacoli” ed io, per ovvie ragioni di prestigio, cercai di allinearmi con loro: ma al solito, dovevo fare tutto con le mie sole forze. Misi in scena (al Quirino di Roma) Le corna di Don Friolera di Ramon del Valle Inclàn» (Peppino a Nino Longobardi, cit.) Peppino «pensa, con questo suo spettacolo in due tempi e 14 quadri, di aver dato un primo avvio al suo sforzo di avvicinare le risorse del cinema a quelle del teatro. Egli sogna per l’avvenire un teatro dotato di risorse tecniche, apparecchi sonori, apparecchi di proiezione, girevoli, macchine di ogni genere, e le più moderne, tali da consentire allo scrittore e al regista la più ampia libertà di ispirazione» (Giorgio Prosperi, Peppino e la tragedia, in «Settimana Incom», 15 dicembre 1951). Si riattiva, in questa impresa, anche la collaborazione con Mario Pompei, fra i primi scenografi di Pirandello, che per il Teatro Umoristico aveva curato le scene di Liolà. L’entrata in compagnia del figlio Luigi, che pian piano si prepara ad avvicendarsi a lui in quelli che erano stati i suoi ruoli, ricostituisce nel frattempo la “famiglia d’arte” – questa volta la vera famiglia di Peppino – in seno alla compagine artistica: «Non l’avevo mai spinto verso il teatro, al contrario mi compiacevo nel raccontargli dei sacrifici che io tanti anni prima avevo vissuto […] Quel primo anno gli feci piovere sulle spalle tutte le parti da cameriere con una o due battute» (Peppino De Filippo racconta la sua vita…, cit., p.60). Carnevalata, poco più di uno scherzo scritto in questo periodo, presenta di nuovo fra i personaggi quel giovane riottoso ad ogni imposizione paterna che partecipava degli esordi del Teatro Umoristico.
Al cinema, Peppino interpreta fra l’altro Signori, in carrozza!, di Luigi Zampa e La famiglia Passaguai, di Aldo Fabrizi.


1952-53

Peppino entra ora in un periodo estremamente creativo per il teatro e intenso per il cinema; per le scene, scrive moltissime pièce: Un ragazzo per modello (mai rappresentata), Il talismano della felicità, Un suicidio collettivo, Io sono suo padre!, Un pomeriggio intellettuale, in cui, con il nome di Peppino Filippelli se la prende con il costume culturale dell’epoca e difende l’onesto artigianato teatrale di tradizione italiana contro le mode esterofile. Ma soprattutto scrive Le metamorfosi di un suonatore ambulante, la sua commedia forse più importante del dopoguerra, rifacimento – secondo quanto lui stesso dichiara – di un testo anonimo del Seicento. Più che essere una pièce, l’opera costituisce un progetto di teatralità, dove farsa, tradizione dei caratteri, Commedia dell’Arte, operetta, opera buffa, trovano una regia scenica articolata e complessa, per la quale Peppino non lascia nulla al caso e per cui scrive anche le musiche. La commedia va in scena però solo successivamente. È un periodo importante anche dal punto di vista cinematografico, ma in prospettiva diversa da quella che sembrava profilarsi nel ’50: nel ’52 interpreta infatti l’edizione cinematografica della sua commedia Non è vero… ma ci credo!, diretto da Sergio Grieco e soprattutto Totò e le donne, diretto da Steno, film con cui si inaugura la fortunata coppia Totò/Peppino, anche se in questa prima uscita in comune la “coppia comica” di fatto ancora non c’è e Peppino si propone come maturo e contegnoso aspirante di Totò, “bravo ragazzo”, anche un po’ serioso. È a partire dai film successivi che la coppia si afferma in quanto tale. Sempre nel ’52 per la prima volta dopo la separazione, il set riunisce i tre fratelli nello stesso film, Ragazze da marito, per la regia di Eduardo. I giornali tentavano da tempo lo scoop di una riconciliazione – In casa De Filippo trattato di pace, si leggeva su «Epoca» dell’ottobre 1951 – e di una nuova collaborazione artistica. I rapporti personali peraltro non si erano mai interrotti ed è vero che, in vista della riapertura del teatro di Eduardo – il San Ferdinando di Napoli – qualche prospettiva di lavoro sembra avviarsi. In vista del centenario di Scarpetta (1954) Peppino riduce e mette in scena Napoli antica di Eduardo Scarpetta e Teodoro Rovito (1952). Alla tradizione napoletana però Peppino si accosta ora con un altro progetto, quello cioè di un film sulla vita del più grande pulcinella dell’Ottocento napoletano, Antonio Petito, progetto che sottopone a De Sica. Questi però sta girando L’oro di Napoli, tratto dai racconti di Marotta, e non è disponibile. Altri soggetti depositati alla SIAE – Il soldato Santa Lucia, Un uomo venuto dal Sud – sempre nel’53, attestano l’interesse che Peppino nutre in questo periodo nei confronti del cinema e la straordinaria produttività che caratterizza questi anni. Per la sua attività teatrale gli viene conferita nel ’53 la Commedia dell’Ordine al merito della Repubblica. Nel ’52 pubblica, presso Armando Curcio editore, Poesie 1929-30 e invia a d’Amico per una prima lettura i testi delle sue favole. Le fiabe vengono pubblicate nel’54 con la presentazione di Bontempelli (Il fu Bobò: tavole umoristiche, Roma, Armando Curcio editore).
Altri di questo periodo sono Siamo tutti inquilini, regia di Mario Mattoli; Martin Toccaferro, regia di Leonardo De Mitri (ed. 1954); Un giorno in pretura, regia di Steno (ed. 1954); Via Padova 46, regia di Giorgio Bianchi (ed. 1954).


1954-55

A dieci anni circa dalla separazione dai fratelli, è tempo di bilanci e Peppino conclude in positivo; ha preso ora in gestione il teatro delle Arti, che terrà per circa dieci anni e comincia un’attività più complessa ospitando anche altre esperienze teatrali significative. «Scenario» gli chiede di poter pubblicare un atto unico a sua scelta fra Un suicidio collettivo e Un pomeriggio intellettuale.
La Compagnia è presente in diverse città con “classici” dell’antico repertorio, Non è vero… ma ci credo! al Casinò municipale di San Remo, La lettera di mammà a Milano e poi a Napoli. Fra le novità rappresenta Un suicidio collettivo al teatro Olimpia di Milano e, successivamente, Un pomeriggio intellettuale, scritto in precedenza. Nella stagione ‘54/55 ripropone Tre poveri in campagna, uno scenario della Commedia dell’Arte che rea stato già sperimentato nel Teatro Umoristico. Il cinema invece offre piuttosto routine, ma il numero delle partecipazioni è cospicuo: ben undici interpretazioni fra cui si segnalano Il segno di Venere, regia di Dino Risi; Accadde al penitenziario, regia di Giorgio Bianchi; e Cortile, regia di Antonio Petrucci, insieme a Eduardo. L’altra grande novità del’55 è la televisione che ha cominciato da poco le sue trasmissioni. La prima apparizione di Peppino è in Ventiquattr’ore di un uomo qualunque, di Ernesto Grassi, interpretata dalla Compagnia del Teatro italiano con la sua regia teatrale – in una registrazione del teatro della Arti. Il testo, andato in scena per la prima volta al Sannazaro nel ’34 con il Teatro Umoristico, tratta le vicende comico/patetiche di un poveruomo che tenta una sporadica e impossibile evasione dalla prigione coniugale: nel suo segno si inaugura una presenza sui teleschermi destinata a essere lunga e proficua.


1956-57

Le metamorfosi di un suonatore ambulante va in scena al teatro Olimpia di Milano e costituisce una novità che incontra grande successo di pubblico e critica. Lo spettacolo porterà Peppino a Parigi e a Londra e sarà riproposto in molte sedi, quasi una sorta di manifesto sul modo di rileggere e contaminare la tradizione comica. Gli “Studi” di questi anni, quelli più volte dichiarati su Goldoni e Molière, ma anche evidentemente sulla produzione paterna, sui francesi, sui libretti di Rossini e sull’operetta producono uno spettacolo in cui Peppino “suonatore” è una presenza carismatica che interviene con alcuni numeri famosi – la statua movibile, l’infante baffuto, e così via – in una macchina spettacolare in cui i caratteri – il vecchio avaro, il «mamo», il servo furbo – vengono lasciati ad altri attori. In questa prospettiva forse, torna a chiedere agli eredi di Lucio d’Ambra, che aveva scritto il testo appositamente per i De Filippo all’inizio degli anni trenta, l’autorizzazione a rappresentare L’allegra corte di Capodimonte – molto vicina a questa concezione teatrale. Come allora, anche questa volta lo spettacolo non si realizza. Torna invece ai grandi “caratteri” con Aulularia di Plauto, nella traduzione di Giulio Pacuvio. La scrittura ha un momento di pausa: probabilmente a questo periodo risale Dietro la facciata. In giugno la Compagnia parte per la tournèe in Brasile, Argentina e Uruguay – nel corso della quale mette in scena anche Aulularia di Plauto – che ha grande risonanza sulla stampa locale, e durante il viaggio in piroscafo recita Spacca il centesimo. Piuttosto che il testo di d’Ambra, degli antichi progetti, Peppino nel ’57 riprende Pirandello, Il berretto a sonagli e Amicissimi, la novella alla cui sceneggiatura aveva collaborato il figlio di questi che era stata richiesta dal Teatro Umoristico sin dal ’38, dopo l’andata in scena dell’Abito nuovo. Fra le novità di altri autori, I nostri cari bambini, di Nicola Manzari. Sullo schermo intanto esplode la fortuna della coppia Totò/Peppino – ratificata anche nel titolo dei film – di cui La banda degli onesti, Totò, Peppino e i fuorilegge (per il quale Peppino riceve il nastro d’argento come migliore attore no protagonista); Totò, Peppino e la… malafemmena, tutti di Camillo Mastrocinque, rappresentano gli esempi più famosi. Nel ’56 intanto, sul programma nazionale della televisione, in diretta dal teatro delle Arti erano andati in onda per la prima vota due testi di Peppino recitati dalla sua compagnia, Aria paesana, e Pranziamo insieme.


1958-59

Gli ultimi giorni del ’57, nell’annunciare per la prossima stagione una ripresa di una commedia a lui cara, Un ragazzo di campagna, e la novità scritta alcuni anni prima, Si debutta domani (I migliori sono così), Peppino rilancia una vecchia polemica: «”Sovvenzioni” per me è una parola vaga e lontana: nessuno me ne ha mai promesse, e io non ne ho mai chieste. Anzi, sono dell’opinione che esse siano dannose al teatro: perché sovvenzionare una compagnia valida artisticamente e commercialmente significa regalare a chi non ne ha bisogno i soldi del contribuente; dall’altra parte sovvenzionare una formazione mediocre significa regalare questi stessi a chi non li merita». Questo periodo reca i segni di alcune collaborazioni con Eduardo, non tutte realizzate: Non è vero… ma ci credo! – come per qualche anno altre commedie di Peppino – va in scena al teatro San Ferdinando,  che propone un repertorio di tradizione napoletana e Paolo Grassi, per la stagione ‘58/59 gli offre – senza successo – il ruolo di Marchetiello in Pulcinella che va cercando la fortuna sua per Napoli, di Pasquale Altavilla, per la regia di Eduardo. Per il film Fortunella, di cui Eduardo cura la regia, e di cui è soggettista e sceneggiatore insieme a Fellini, Pinelli e Flaiano, i piani di lavorazione assicuravano (1957): «accanto alla Masina saranno i due De Filippo e ciò aumenterà l’atmosfera smagata, grottesca  malinconica del film». Il ruolo invece sarebbe poi stato sostenuto da Alberto Sordi, ma nell’argomento del film – una povera donna sfruttata e maltrattata dal suo compagno, che sogna di essere figlia di un gran signore, e che verrà accolta poi in una compagnia di guitti – si riconosce qualche segno di un antico sodalizio fra Fellini e Peppino. In questo periodo, Peppino scrive Noi due!, Tutti i diavoli in corpo, Pater familias, e ritorna nuovamente sul tema dell’avaro con L’avarissimo (Euclione ’57), tre atti che diventano in seguito L’amico del diavolo e che andranno in scena molto più tardi, mentre ora vanno in scena i suoi adattamenti di Lavedan, La collana di cento noccioline, e di La Porte, Buon appetito signor commissario. Alla Casina Valadier di Roma Peppino festeggia nozze d’oro col teatro. Al teatro delle Arti, mette nuovamente in scena Le metamorfosi di un suonatore ambulante. Avere un “luogo proprio” consente una serie di iniziative a carattere continuativo; a partire da questo momento, ad esempio – e per un discreto numero di anni – con regolarità la programmazione teatrale delle Arti va in onda sul programma nazionale della televisione. Prende parte ad alcuni Caroselli pubblicitari. Fra le interpretazioni cinematografiche di questo periodo si segnalano soprattutto Policarpo ufficiale di scrittura, di Mario Soldati, dove l’attore disegna con economia di tratti il riserbo e il contegno di un burocrate torinese e Ferdinando I re di Napoli, di Gianni Francolini, con Eduardo e Titina (avrebbe dovuto esserci anche Totò, se la salute glielo avesse consentito, ma viene sostituito da De Vico), dove interpreta magistralmente la figura del re gaglioffo e lazzarone. I due film, a carattere storico e in costume, sono grandi produzioni, con cast eccellenti, dove Peppino è rispettivamente coprotagonista e protagonista.


1960/65

Peppino ora “abita” un teatro. Le Arti  ospita diverse manifestazioni culturali, archivia e conserva la programmazione corrente, fra cui figurano anche compagnie straniere di particolare interesse, promuove i lunedì per gli studenti a prezzi popolari, e quindi i “giovedì letterari” che si concludono ad aprile del ’60 con la lettura e la discussione di Natale in casa Cupiello di Eduardo. I temi trattati vanno dalla Commedia dell’Arte al teatro italiano contemporaneo al teatro dialettale alla drammaturgia francese e vi intervengono fra gli altri Diego Fabbri, Vito Pandolci, Aldo Nicolaj, Federico Zardi. Si danno inoltre letture interpretative di contemporanei << spesso inediti, altre volte rare o difficile interpretazione scenica (vuoi per la difficoltà scenografiche, vuoi per veti di censura)>>. E’in questa sede che trovano ospitalità, fra gli altri, I marziani, di Zardi, La governate, di Brancati, Lo spettatore notturno di Peyrefitte.
La programmazione sfrutta il repertorio consolidato, che viene ripreso anche in tv. Il rapporto con la televisione si fa in questo periodo particolarmente intenso: invitato nel’60, insieme alla sorella Titina (Eduardo non aveva voluto partecipare) alla trasmissione di D’Anza, il Novelliere. Peppino dedica quasi per intero al nuovo medium la sua scrittura , alla quale guadagna una nuova partnership, quella del figlio. In collaborazione con Corrucci e Grimaldi, Peppino e Luigi scrivono infatti sei originali televisivi – Date a Cesare, Salvate mio figlio, Le nozze d’argento, L’esperto di riserva, Tutto fare cercasi, Una canzone nel cassetto – che vengono registrati nel ciclo Peppino al balcone (1961).
Durante il ’61, dopo progetti e tentativi mancati, Peppino gira con Fellini quella che considera la sua migliore interpretazione cinematografica, il dottor Antonio di Le tentazioni del dottor Antonio, in Boccaccia ’70 (secondo episodio, ed. 1962): il lato puntiglioso e maniacalmente “preciso” degli onestuomini cui Peppino ha dato vita per tanti anni, viene trionfalmente travolto dai seni straripanti di Anita Ekberg e vi trova fine gloriosa.
Si conclude nello stesso periodo la serie che lo ha visto insieme a Totò. Il tentativo in corso nel ’63 di moltiplicare due per due (già iniziato in Totò contro i quattro) ricorrendo a Macario, Nino Taranto e Aldo Fabrizi ( I quattro monaci, I quattro moschettieri, di Carlo Ludovico Bragaglia, Un’opera buona, secondo episodio de I quattro tassisti, di Giorgio Bianchi, 1963), non colma il vuoto lasciato dalla coppia più celebre del cinema italiano.
Peppino prende ora la via dell’Europa: << Ricevetti dall’amico Planson una lettera riservatissima circa l’assegnazione dei premi della stagione teatrale 1963 del Teatro delle Nazioni. […] Quando c’incontrammo mi disse che la giuria, all’unanimità, mi aveva assegnato il premio per il miglior “metteur en scene”, avendo cura di precisarmi che la motivazione del premio voleva significare non solo un riconoscimento per la “regia”, bensì per l’interpretazione come attore, per la validità del testo farsesco e per quello musicale. […] Io non stavo più nei miei panni. Mi pareva di ascoltare cose che riguardassero un’altra persona. Ma chi mai mi aveva riconosciuto tanti bei meriti in Italia?>> Al Festival del Theatre des Nations di Parigi, Peppino viene premiato per le metamorfosi di un suonatore ambulante e l’anno successivo partecipa alle celebrazioni in occasioni del IV centenario della morte di Shakespeare a Londra dal 6 al 18 aprile mentre Le metamorfosi viene rappresentato all’Aldwych Theatre. Quindi, nel ’65 porta il testo in Unione Sovietica, in Polonia e in Cecoslovacchia. L’esperienza viene raccontata da Peppino in un colorito articolo, che suscita le rimostranze delle autorità sovietica.
Sul programma nazionale della televisione (che nel ’62 ha inaugurato anche il secondo programma, all’interno del quale la prosa accoglie il primo ciclo del “Teatro di Eduardo”) Peppino viene proposto come interprete dell’Avaro di Molière dal Teatro delle Novità di Manuer Lualdi e allo stesso tempo nel varietà televisivo Smash. Su questa linea ancora l’anno successivo Peppino si ripropone in quel Dandin, aveva personalmente tradotto e messo in scena da molti anni e in un Intervallo (pubblicato poi come Omaggio a Plauto) che ripercorre i grandi “avari” della storia del teatro. Fra i classici, affronta nella stagione teatrale ’64 - ’65 La mandragola di Niccolò Macchiavelli al Teatro delle novità di Maner Lualdi. La novità che presenta in questo momento è L’amico del diavolo, che aveva scritto nel ’58.
Fra i progetti di questo periodo quello su Pulcinella, inviato alla Rai e un testo, depositato alla SIAE, Salvatore di Giacomo (La sua vita cantata e musicata), 1963. Mentre l’attività di commediografo rallenta, Peppino comincia a lavorare alla prima edizione della raccolta delle sue piéce, Farse e commedie, che esce presso Marotta nel ’64 in due volumi: dalla sua produzione esclude un discreto numero dei primi testi che recupererà poi nella seconda edizione in quattro volumi (1971). La corrispondenza con Marotta mostra come già dopo la prima edizione delle commedie, Peppino si stia dedicando al suo libro di memorie, Una famiglia difficile , che annuncerà in varie occasioni anche alla stampa. Pensa nel ’65 a uno spettacolo su Felice Sciosciammocca, ma la scarsa disponibilità degli eredi Scarpetta ne ostacola la realizzazione. Riunisce quindi in Don Felice affamato tra un invito a pranzo, un amico scultore e due poveri in campagna i tre atti unici Il ramoscello d’olivo, Miseria bella e Tre poveri in campagna che presenterà nella stagione del teatro San Ferdinando. Il ’63 si era concluso con un evento luttuoso; il 26 dicembre moriva la sorella Titina:  << Titina mia, quella mano sulla spalla io l’ho sempre sentita poi, è stato come se con quel gesto tu mi accompagnassi per la vita>>

 
1966/71

La creazione più originale di questo periodo è ancora una volta televisiva: nel ’66 conduce Scala Reale (che sostituisce Canzonissima) e inventa il personaggio di Pappagone, nel cui “carattere”confluisce tutta intera una tradizione oramai più che trentennale di personaggi astutamente ottusi, non ultimi il cuoco de I casi sono due. Ma la vera invenzione è una lingua italiana giustiziata nel senso e nel suono, che diventa immediatamente popolarissima, come testimoniano il numero incredibile di lettere che riceve dagli spettatori. Nonostante le numerose offerte cinematografiche, Pappagone, per scelta del suo autore, resterà un personaggio solo televisivo e al cinema farà solo qualche apparizione straordinaria (Rita la zanzara, 1966; Non stuzzicate la zanzara, 1967, di Lina Wertmuller). Nel ’68 pubblica Ecque qua..Pappagone (Roma, Ed. Gallo Rosso) e invia il volume in omaggio al Museo delle Tradizioni popolari, indicando il personaggio come l’ultima delle maschere italiane. Fra le novità di altri autori, porta in scena Come si rapina una banca, di Samy Fayad, ,a la sua commedia più recente, L’amico del diavolo, non riceve l’accoglienza separata, il Ministero competente nega le sovvenzioni e la sua editrice Einaudi, cui si era rivolto, non prende in considerazione il testo. Amarezza e polemica accompagnano ora spesso gli interventi di peppino, <<attore disimpegnato>> - come lo definisce l’intervista di lucano cui spesso ci siamo riferiti – ma che, a sua volta, accusa un rifiuto e una mancanza di attenzione nei confronti del suo operato. Partecipa però attivamente alle battaglie civile, ed è fra i primi ad aderire alla Lega  Italiana per il Divorzio. La sottoscrizione alle manifestazioni a favore dell’aborto, in seguito, provocherà assalti e danni al teatro Parioli, che ospitava la sua compagnia. Nella stagione ‘67/’68 continuano le tournée in Portogallo, Spagna e Francia. A Napoli si esibisce ancora al San Ferdinando. Il cinema non gli riserva parti significative: nel ’67, durante le riprese di Il padre di famiglia, di Nanny Loy, era morto Totò. Nel ’69 Peppino mette in scena al teatro delle Arti, Come finì Don Ferdinando Ruoppolo: è la sua ultima commedia e il testo “suicida” emblematicamente proprio quell’onestuomo piccolo-borghese ottuso e ostinato a cui l’attore aveva dato respiro per tanti anni. Contestazioni giovanili, rivoluzione dei costumi, uccidono una volta per tutte quel “povero ragazzo” che è diventato oramai un vecchio ingannato e disperato, senza più futuro: i tempi non lo ascoltano, e neanche lui riesce a intendere tanto bene il senso della “caduta delle maschere”. Don Ferdinando, dopo aver assistito alla rovina della sua famiglia, si precipita in dignitoso e disperato silenzio dal balcone della sua propria abitazione. La malattia di lidia induce peppino, per la prima volta in tanti anni, a non fare compagnia per la stagione ’69-70. Lavora piuttosto alla riedizione del suo teatro, che esce ampliata nel ’71, e alle memorie della sua vita. Anche in radio, nel programma P.come Peppino, narra aneddoti e ricordi. Esce anche l’edizione discografica di Peppino, poesia e musica. Per la televisione dirige La carretta dei comici, otto puntate di Luigi de Filippo e Vittoria Ottolenghi. Nell’aprile del ’71 muore Lidia Maresca, che Peppino riesce a sposare poche ore prima della sua fine.


1972/80

Faticosamente, dopo la morte della sua compagna di vita e di scena, cui dedicherà tutti i suoi scritti successivi e per la quale scrive ora Pagine per Lidia (Napoli, Marotta, 1973) Peppino riprende a lavorare e al teatro Parioli di Roma mette in scena alcuni atti unici del figlio Luigi (fatti nostri, La spinta Krauti e maccheroni). Ha comunque concluso un ciclo della sua esistenza e l’attività artistica si concentra sulla difesa e sulla valorizzazione – a teatro come in televisione – del suo repertorio più antico e consolidato. Ad  Antonio Lubrano che nel’78, in occasione dell’ulteriore riproposta in televisione di Un ragazzo di campagna e di per me come se fosse!, gli chiederà ragione di questi anni di “chiusura” Peppino dichiarerà: <<La verità è che non ne ho più voglia. Ho raggiunto un’età che me so’scucciato…E poi quello che volevo dire l’ho detto. Tutto l’arco della mia produzione sta a dimostrarlo. Perché dovrei scrivere delle novità Per accontentare i critici? No. I critici sono quello che sono, oggi sono politici più che critici […] Eppoi non ho più voglia di scrivere anche per un’altra ragione, che forse è la prima. Voi sapete che ho perduto mia moglie. Dopo trentadue anni di convivenza questo colpo per me è stato durissimo…>>
Con <<quello che ha già detto>> - in particolare con le metamorfosi e il berretto a sonagli di Pirandello – nel ’73 Peppino rappresenta l’Italia al decimo Festival mondiale del Teatro, che ha luogo all’Aldwych Theatre di Londra. In quest’occasione ribadisce ancora una volta, in polemica con gli orientamenti contemporanei, in che senso si considera rappresentativo del paese in accordo e in conseguenza di quel lontano ’45, quando scelse una lingua comica di tradizione “italiana” : il suo giudizio sul teatro dialettale recente  è categorico: <<A parte i testi di mio fratello non vedo altri autori>>.
La stagione ’75-’76, per al quale aveva chiesto la presentazione a Moravia, parte battagliera a favore di un programma teatrale – Quaranta…ma non li dimostra e Come e perché crollo il colosseo, scritta e diretta da Luigi – per il quale ha difficoltà a trovare “piazze”.
Nel ’74 la sua favola Pedrolino (ma il nome originario era Maccus) aveva riproposto in termini fiabeschi l’eterna parabola dei “comici” come metafora dei rapporti fra teatro e società vincendo l’VIII premio Andersen di Sestri levante. Nel ’76, coerentemente con le sue idee di un teatro che non viva di riflessi sulla politica, rifiuta la candidatura al Senato offertagli dal Partito Liberale.
Eppure in questa ultima fase della sua attività artistica, alcune novità Peppino le affonda: un Malato immaginario, di Moliere in televisione (1973) e una regia musicale di Lo frate ‘nnamorato, di Giovanni Battista Pergolesi, in occasione dell’Autunno musicale napoletano (1974). Nel ’76 si mette alla prova con un autore contemporaneo che sembrerebbe assolutamente estraneo alle sue corde e chiede a Harold Pinter l’autorizzazione a rappresentare Il guardiano, che la televisione trasmetterà l’anno successivo per la regia di Edmo Fenoglio. Pinter concede l’autorizzazione a “italianizzare” i riferimenti inglesi: il protagonista (Ugo Pagliai) parla il fiorentino e il “vecchio” interpretato da Peppino è napoletano. La maschera facciale di Peppino è potente e scarna , e mette in scena il dolore di una dignità negata.
Anche la sua vita sentimentale, così duramente provata dalla morte della moglie, era felicemente ripresa da alcuni anni: nel ’77 sposa una giovane attrice, Lelia Mangano, che era entrata in compagnia da tempo:<<oggi ho trovato una compagna, che è una donna dolcissima piena di comprensione…Lei mi ha dato, come dire, un respiro>>.
In questa nuova serenità, mentre sospende l’attività di compagnia, nel ’77 “scoppia” il suo libro di memorie Una famiglia difficile. Nel ’73 aveva già pubblicato, sempre per l’editore Marotta, Paese mio: poesie e canzoni napoletane e nel ’74 Strette di mano, nel quale riuniva una serie di articoli apparsi precedentemente sul <<Messaggero>> sui ricordi con personaggi illustri del teatro e della cultura del Novecento. Ma ora entra nel vivo del rapporto con Eduardo, ambientandolo nella storia teatrale della prima metà del secolo: << Mi auguro che questo nuovo lavoro vada bene nel senso che l’interessi l’ambiente dello spettacolo del nostro Paese e il pubblico in genere. Io l’ho scritto in tutta serenità di spirito e lealtà. Si è trattato di una “fatica”  vera e propria tra scrupoli e ripensamenti…ma poi la verità do ogni episodio e particolare m’è uscita dal cuore, dal fondo del mio cuore facendomi decidere sull’opportunità di aprire interamente la porta al mio pensiero critico verso tutte quelle cose che ho amato, disprezzato e elogiate in piene coscienza durante la mia lunga e faticosa vita di teatrante>>.  Simbolicamente le memorie terminano con la morte di Titina, come se con la sua scomparsa fosse terminata anche la “famiglia”. Il libro mette in scena comunque un’antropologia teatrale della prima parte del Novecento e, al di là delle polemiche e delle verità molto personali, rimane la storia di un rapporto famigliare di grande amore e di grande dolore. In questo periodo interpreta ancora l’Avaro di Moliere, al teatro San Babila di Milano (1977); in televisione, mentre ripropone Un ragazzo di campagna, cura la regia teatrale di Storia strana su di una terrazza romana, di Luigi De Filippo (1978) e nel ’79, insieme a Luigi e altri attori, presenta un’antologia dei suoi film e delle sue commedie in Buonasera con…Peppino De Filippo. E’ oramai seriamente malato, ma nonostante una saluta che va sempre peggiorando annuncia il suo ritorno alla scrittura (Fratelli d’Italia, di cui esiste la stesura del primo atto) e torna al cinema dopo svariati anni con Giallo Napoletano, di Sergio Corrucci. <<Anche se compare brevemente per sole quattro volte, anche se gli si legge già la morte sul volto, Peppino riesce a compiere l’antico miracolo, quello di ravvivare ogni sequenza, ogni inquadratura>>. (Enrico Giacovelli – Enrico Lancia, Gremese Roma 1992, p189). Peppino si spegne a Roma il 26 Gennaio 1980. In segno di lutto Eduardo sospende le recite per due giorni in omaggio a un’arte che ha sempre saputo stabilire legami più intensi e profondi delle storie personali. Nei mesi successivi la televisione trasmette le commedie che l’attore aveva registrato prima di morire con la regia di Giancarlo Nicotra: Non è vero…ma ci credo!, La lettera di mammà, Quaranta…ma non li dimostra, Spacca il centesimo, Pranziamo insieme. Nel segno antico del Teatro Umoristico l’attore e l’autore si congedano dal pubblico.

a cura di Antonella Ottai dal sito internet della Fondazione Peppino De Filippo

  
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